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SENTENZE SULL' INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
 

I SENTENZA

CLAMOROSA SENTENZA DELLA CORTE D'APPELLO DI BRESCIA:

RICONOSCIUTA MALATTIA PROFESSIONALE DA ELETTROSMOG !


Roma, 15 dicembre '09

Apprendiamo da fonti qualificate che la Corte d'Appello di Brescia ha emesso una sentenza con cui accoglie il ricorso di un lavoratore esposto alle onde elettromagnetiche di cordless e cellulari, riconoscendo la malattia professionale con invalidità all'80%.
E' il primo caso in Italia in cui un tribunale afferma il nesso causale tra uso frequente di terminali mobili che emettono campi elettromagnetici ad alta frequenza ed insorgenza di patologie tumorali.
La causa era stata intentata da un dipendente INAIL, che per motivi di lavoro, era costretto ad utilizzare cordless e cellulari e che si è successivamente ammalato, contraendo un tumore alla testa.
Tra i periti che hanno supportato con validi elementi scientifici la tesi del nesso causale figura il prof. Angelo Gino Levis, autore di numerose ricerche epidemiologiche sulla pericolosità dell'uso di cordless, cellulari ed apparati wireless.
Si tratta di una pronuncia giudiziaria che sta suscitando molto scalpore, destinata a fare scuola ed aprire una breccia tra i c.d. negazionisti; una sentenza che rilancia le battaglie di cittadini e comitati contro il proliferare selvaggio di sorgenti di emissione elettromagnetica.

Antenna 'mostro'
 

II SENTENZA


La Tim paga i danni

Il colosso della telefonia mobile è stato costretto dal giudice a risarcire un forlivese Padovani, per il deprezzamento della sua casa dovuto alla costruzione di un ripetitore ad appena 23 metri dall'abitazione

Forlì, 14 dicembre 2009 - Zero possibilità. Tanto che lungo l'aspro tragitto della battaglia Gianfranco Padovani resta solo. Quelli di via Schio — all'inizio, uniti nella lotta — s'arrendono uno dopo l'altro. Troppo forte l'avversario. Che si chiama Tim (Telecom Italia Mobile). Tutti quindi s'arrendono al `mostro' di via Schio, area artigianale di via Lunga. Il mostro è un'antenna per cellulari. Un ago ciclopico d'una ventina di metri sparati all'insù. Tutti mollano. Non Gianfranco. Che alla fine vince. Trionfa. Sconfigge il titano Tim. Costretto dal giudice a risarcire Gianfranco: 200mila euro, per il deprezzamento della sua casa.

La Tim sbarca in forze in via Schio nel 2003 e in poche ore pianta il suo pennone a 23 metri dalla casa di Gianfranco Padovani, imprenditore nonché campione di tiro al piattello. Da quel giorno Gianfranco ha una missione: togliere di mezzo il mostro. Che Gianfranco considera una minaccia alla salute, sua, della sua famiglia e di tutto il quartiere: l'impianto ha una potenza di 20 volt per metro. E ha una capacità di rovesciare in aria onde elettromagnetiche da far paura. Per dire: a un certo punto in quella zona ad alto tasso elettrico esplodono i telefonini, i cancelli s'aprono da soli, le lampadine si squarciano. Roba da film dell'orrore. La casa di Gianfranco diventa invivibile. Suo figlio rinuncia di andarci ad abitare. Gianfranco è accerchiato e solo; nella zona nessuno crede alla lotta. Troppo forte la Tim.

Gianfranco allora punta le carte sulla (vituperata) giustizia. I suoi avvocati, Claudio Marzocchi e Filippo Martini, chiedono al tribunale civile di Forlì di dare un'occhiatina alla salute dell'aria. Un esperto nominato dal giudice dirà che lì in via Schio non c'è alcun rischio. Gianfranco e i suoi legali fanno ricorso, perché dalla loro parte c'è la relazione di un gruppo di studiosi dell'Università di Urbino; per loro, via Schio è un'area inquinata da «correnti vaganti» che non fanno per niente bene. Ma anche l'appello va male. Due a zero per la Tim.

Una mazzata che avrebbe steso chiunque. Non Gianfranco e i suoi legali. Che mutano strategia: abbandonano la pista della salute in pericolo la buttano sul deprezzamento economico della casa di Gianfranco, abbruttita dalla presenza del mostro. L'epilogo è clamoroso: il giudice Alberto Pazzi dà ragione a Gianfranco; l'antenna Tim è stata eretta a 23 metri e non a un minimo di 46, come da permesso comunale. La Tim però ha prima chiesto di non pagare subito i 200mila euro (per evitare un «consistente danno patrimoniale») e ha poi fatto ricorso in appello; ma intanto l'avvocato Marzocchi dice: pagateci subito. «Non è per i soldi che sono felice — dice Gianfranco — è una vittoria del principio di giustizia».

 
 
 
 
 
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